5° Corso di Chirurgia della Mammella
“Michele Pascone”
10 Febbraio 2015
RECIDIVE DELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE: STRATEGIE DI TRATTAMENTO
11 Giugno 2015

NUOVA PROPOSTA RICOSTRUTTIVA NELLA CHIRURGIA VULVARE

Unità Operativa di Micro_Chirurgia Plastica Ricostruttiva e Chirurgia della Mano

Direttore Dr. Michele Riccio

Zingaretti N., Latini L., Aquinati A., Marchesini A., Riccio M.

 

Abstract

Nella presente trattazione vengono descritte le classiche tecniche di sollevamento e posizionamento di lembi locali nella ricostruzione vulvare. Gli autori riportano la descrizione dell’anatomia chirurgica di un lembo inedito in questa applicazione.

PATOLOGIA PERINEALE

Il ruolo della chirurgia plastica-ricostruttiva entra nel merito delle patologie che, per causa diretta o in seguito a demolizione chirurgica, comportano un’ ampia perdita di sostanza dei tessuti molli. Tra le patologia che più frequentemente richiedono uno o più interventi ricostruttivi vanno annoverate:

GANGRENA DI FOURNIER: è un’infezione necrotizzante dei tessuti molli del perineo, che si estende rapidamente causando distruzione dei tessuti fasciali e sottocutanei, con una mortalità variabile fra il 17-34 %.

NEOPLASIA MALIGNA VULVARE: Il cancro della vulva, una delle neoplasie meno frequenti della sfera genitale femminile, ha un’incidenza del 3-5% di tutti i tumori ginecologici (ne sono affette 2 donne su 100.000 per anno). Si osserva principalmente in età avanzata, con un picco di incidenza intorno ai 70 anni. La classificazione istologica prevede 4 tipologie di neoplasia: Carcinoma Squamocellulare(86,2%), Melanoma(4,8%), Carcinoma Indifferenziato(3,9%), Sarcomi(2,2%), Carcinoma Basocellulare(1,4%), Carcinoma originante dalle Ghiandole del Bartolino(1,0%). È possibile riscontrare inoltre casi in cui la neoplasia rimanga confinata allo strato epiteliale vulvare. In quest’ ultima situazione si parla di VIN ( Neoplasia Vulavare in Situ).  Tali neoplasie vulvari intraepiteliali sono classificate, in base alla caratteristiche istologiche, in 2 gruppi: VIN squamocellulari (a loro volta suddivise, in base al grado di atipia cellulare,in VIN1, VIN2 e VIN3) e VIN non squamocellulari(che comprendono la malattia di Paget intraepiteliale ed il raro melanoma in situ).

PAGET EXTRAMAMMARIO: è una rara neoplasia che origina dalle ghiandole apocrine della cute. Le sedi tipicamente coinvolte sono la vulva, la regione perianale, il perineo, lo scroto, il pene (più raramente può interessare la coscia, i glutei, l’ascella, le palpebre e il meato uditivo esterno); clinicamente si presenta come una placca biancastra o eritematosa, ben delimitata, essudativa, dolente e spesso pruriginosa. A causa di questi sintomi piuttosto vaghi, può essere riconosciuta solo tardivamente e pertanto viene spesso trattata in fase ormai avanzata. La terapia d’elezione è chirurgica, anche se la percentuale di recidiva dopo il trattamento escissionale è elevata (fino al 43%). La terapia chirurgica è condizionata però da alcune caratteristiche di questa patologia: la multicentricità, l’irregolarità dei margini istologici e l’estensione clinicamente inapparente. Infatti l’estensione della lesione negli strati profondi è superiore rispetto all’estensione macroscopica della lesione in superficie, e quindi l’exeresi deve essere estesa ampiamente al tessuto sano.

 

MODALITA’ DI TRATTAMENTO CHIRURGICO

Il trattamento del carcinoma vulvare invasivo è tradizionalmente chirurgico. Il razionale è quello di procedere all’escissione della lesione vulvare e delle stazioni linfatiche di riferimento. In passato l’intervento era estremamente mutilante, in quanto la tecnica prevedeva l’asportazione “en bloc” della vulva, dei linfonodi inguinali e di tutto il tessuto cutaneo e sottocutaneo compreso tra le spine iliache antero-superiori e la vulva, mediante un’ampia incisione “a farfalla” (intervento di Way), ma era penalizzato da un’elevatissima morbilità e mortalità. Oggi il trattamento del carcinoma vulvare segue un algoritmo decisionale differente: in caso di lesione piccola e laterale(<2cm), si esegue l’ emivulvectomia radicale con conservazione del clitoride,in associazione alla linfoadenectomia inguino-femorale omolaterale; in caso di lesione piccola con coinvolgimento di strutture mediane (clitoride e/o ano) o di lesione ampia(>2cm), si procede a vulvectomia radicale in associazione alla linfoadenectomia inguino-femorale bilaterale; in caso di lesione vulvare effettivamente molto piccola, può essere effettuata semplicemente una “wide local excision” e non l’emivulvectomia, risparmiando così il clitoride. Non è quindi lo stadio della malattia, ma sono le dimensioni del tumore e il coinvolgimento delle strutture anatomiche circostanti(uretra, vagina, retto, e tessuti molli della regione pubica, inguino-crurale e glutea) a determinare l’estensione dell’escissione vulvare e quindi la tecnica ricostruttiva. In base alle loro dimensioni, le perdite di sostanza vengono classificate in: piccole(se <10 cm2), medie(se comprese fra 10 e 20 cm2), grandi(se > o uguali a 20 cm2), estese(se >50 cm2). Dalla descrizione delle procedure chirurgiche si evince come, salvo i casi di lesione di piccole dimensioni, si debba procedere ad interventi demolitivi piuttosto invasi che pongono seri problemi di accettazione da arte della paziente. La chirurgia ricostruttiva quindi deve abbandonare l’ ormai obsoleto concetto di semplice copertura della perdita di sostanza ma tentare di ripristinare un organo il più possibile analogo al modello fisiologico in termini di sensibilità, consistenza, dimensioni e, non meno importante, di gradevole aspetto estetico se si pensa alla tendenza manifestata da questo tumore di colpire donne in giovane età  (nel 15% dei casi la neoplasia colpisce donne di età inferiore ai 40 anni). La chiusura primaria della lesione è possibile in caso di piccole perdite di sostanza, mentre è richiesto l’utilizzo di lembi dopo un’ampia resezione parziale o totale. Le complicanze della ferita chirurgica( deiscenza, infezioni, necrosi) sono però molto comuni dopo la chiusura primaria effettuata in seguito alla vulvectomia radicale, con un aumento dei tempi di ospedalizzazione, dei costi e della morbilità. Occorre ricerca soluzioni ricostruttive che abbiamo delle caratteristiche quanto più possibili vicini ad una situazione ideale:  le dimensioni della componente cutanea necessaria per la ricostruzione della vulva variano dai 20 ai 25 cm in lunghezza, e dagli 8 ai 10 cm in larghezza. Inoltre la sede donatrice del lembo non deve, per quanto possibile, andare incontro a deficit morfo-funzionali. Il lembo “ideale” dovrebbe essere in grado di apportare una buona porzione di cute vascolarizzata e di grasso sottocutaneo con spessore ed elasticità simili alle strutture anatomiche da ripristinare, di ristabilire le necessità funzionali, di minimizzare l’impatto negativo su importanti attività quotidiane (come camminare o sedersi), di creare un aspetto esteticamente naturale, di essere dotato di sensibilità, di minimizzare i danni sul dito donatore (in termini di morbilità e di cicatrici residue; ad esempio per la ricostruzione del pene è comunemente accettato il lembo libero radiale come tecnica di scelta, ma il suo utilizzo può essere limitato dalle evidenti cicatrici che esso provoca e che vengono poco accettate dal paziente stesso). Deve inoltre essere affidabile, di facile e rapida esecuzione, possibilmente eseguibile in un singolo atto chirurgico. Esistono diversi tipi di lembi che possono essere utilizzati per la ricostruzione vulvare e perineale; fra questi, quelli che più facilmente si adattano alle necessità ricostruttive sono i lembi locali fasciocutanei  per le loro importanti caratteristiche in termini di spessore, affidabilità e bassa morbilità.  Essi sono particolarmente indicati nelle lesioni superficiali, mentre nelle lesioni perineali più profonde sono preferibili dei lembi miocutanei (gracile, grande gluteo, retto dell’addome), più voluminosi e dotati di minor mobilità (limitata ad un singolo arco di rotazione basato sul peduncolo vascolare dominante del muscolo).

 

UNA NUOVA PROPOSTA RICOSTRUTTIVA: IL LEMBO ANTEROMEDIALE DI COSCIA

L’analisi della letteratura evidenzia come numerose e parimenti valide siano le opzioni tecniche attualmente disponibili per la ricostruzione della regione vulvo-perineale, ma ciascuna scelta dimostra peculiari vantaggi e specifici limiti senza che esistano chiare indicazioni generali per l’utilizzo di una di queste. Se da un lato, infatti, le numerose opzioni a disposizione del chirurgo permetterebbero di utilizzare la tecnica più indicata per ogni singolo caso, dall’altro quest’ampia gamma di scelta può generare incertezza di opzione.

DESCRIZIONE E PECULIARITA’ DEL PEDUNCOLO VASCOLARE

Il lembo fasciocutaneo anteromediale di coscia da noi descritto, ha una fonte costante di vascolarizzazione fornita da perforanti muscolari e settali che entrano nella fascia in prossimità della base del lembo. Tali perforanti originano da vasi provenienti dai muscoli sartorio, adduttore lungo, vasto mediale, gracile e dal setto intermuscolare e sono già stati parzialmente descritti in passato come peduncoli vascolari di altri lembi disegnati su questa stessa regione. Essi vanno a vascolarizzare il nostro lembo con un pattern di tipo assiale. Ma la peculiarità della vascolarizzazione di questo lembo che ci permette di distinguerlo anatomicamente dagli altri descritti in questa regione anatomica, quindi acquisendo una dignità di “nuovo lembo”, è la presenza costante di una arteria finora mai descritta che, originata dalla arteria femorale comune prima della sua biforcazione decorre in basso per circa 6 cm fino a raggiungere e vascolarizzare la regione anteromediale della coscia, confermata nella nostra esperienza mediante esame angiografico effettuate su pazienti candidate a ricostruzione mediante tale lembo. Il peduncolo arterioso ha una lunghezza di circa 6 cm e un diametro di circa 3 mm, decorre davanti alla fascia anteriore della arteria femorale comune, e dopo la sua biforcazione si superficializza a livello della radice della coscia in corrispondenza della regione anteromediale penetrando ed arborizzandosi nella fascia muscolare di questa regione anatomica.  Quindi noi consideriamo tale arteria, chiamandola “peduncolo arterioso principale del lembo anteromediale verticale di coscia” l’apporto arterioso principale del lembo, mentre le perforanti muscolari e settali che entrano nella fascia in prossimità della base del lembo già descritte in passato come peduncoli vascolari di altri lembi disegnati su questa stessa regione ovvero le perforanti che originano da vasi provenienti dai muscoli sartorio, adduttore lungo, vasto mediale, gracile e dal setto intermuscolare, sono da noi considerate quali peduncoli arteriosi accessori e quindi suppletivi alla arteria principale da noi individuate e dimostrata per mezzo degli esami angiografici.

 

DESCRIZIONE DELLA TECNICA OPERATORIA
Si disegna il lembo con base alla radice della coscia ed asse verticale parallelo all’asse longitudinale dell’arto inferiore. Viene disegnata la linea che unisce il tubercolo pubico alla spina iliaca anterosuperiore, l’arteria femorale viene quindi individuata palpatoriamente in questa regione; il margine laterale del muscolo sartorio viene identificato in relazione ad essa. La base del lembo viene poi disegnata quattro dita al di sotto di tale linea, parallelamente ad essa. Il punto di mezzo della base è posto 2-3 cm medialmente all’arteria femorale; il limite laterale della base si trova a livello del margine laterale del muscolo sartorio, mentre il limite mediale è posto fra i muscoli adduttori e il muscolo gracile. La lunghezza  complessiva della base misura circa 9 cm. Dopo aver stabilito la base, le restanti dimensioni del lembo vengono disegnate a seconda dell’ampiezza dell’area che si deve andare a ricoprire e che sarà stata precedentemente misurata. Si può disegnare un lembo la cui lunghezza può arrivare fino a 25 cm e, qualora necessario, la larghezza può essere estesa a 10 cm; questo, tuttavia, può precludere la chiusura diretta della sede donatrice richiedendo così l’utilizzo di innesti cutanei. Per lesioni perineali di grandi dimensioni è suggerito l’uso di lembi di coscia  anteromediali bilaterali, in modo da evitare una potenziale morbilità della sede donatrice. L’incisione viene realizzata sulla cute fino alla fascia profonda, essa compresa. La dissezione viene quindi operata in direzione distale-prossimale sul piano sotto fasciale, avendo particolare cura nel non danneggiare in nessun modo il peduncolo vascolare. Nel corso della dissezione del lembo, si deve prestare notevole attenzione in modo da includere nella base del lembo i rami cutanei mediali del nervo femorale, così da preservare l’innervazione sensitiva. Il lembo può essere sollevato in un unico tempo operatorio come lembo a peduncolo sottocutaneo o come lembo ad isola, al fine di evitare un secondo intervento per dividere la base del lembo. La sede donatrice viene infine chiusa direttamente.

 

 

RISULTATI DELLA NOSTRA ESPERIENZA

Nella nostra esperienza abbiamo utilizzato in 5 pazienti, affette da carcinoma vulvare e morbo di Paget extramammario, il lembo antero-mediale di coscia quale opzione ricostruttiva. In tutti i casi si è ottenuto un ottimo risultato estetico, con buona soddisfazione da parte delle pazienti sia nel sito ricevente che nel sito donatore del lembo. Il lembo ha mostrato un eccellente capacità di attecchimento senza alcun segno di necrosi parziale o totale. Si è assistito anche ad una soddisfacente ripresa neurologica dimostrata dal test di Weber ha evidenziato una eccellente ripresa della sensibilità del lembo ( range 9-12). Infine , in nessun caso, si è assistito a recidiva della patologia.

 

 

DISCUSSIONI E CONCLUSIONI

Il suo impiego in ambito ricostruttivo offre numerosi vantaggi; esso, infatti, è dotato della stessa sensibilità del lembo descritto da Nakajima, ma rispetto ad esso il nuovo lembo ha dimensioni decisamente maggiori e la sua innervazione è fornita dal nervo cutaneo femorale mediale e non dal nervo safeno; per questo motivo durante la dissezione del lembo è necessario prestare grande attenzione, in modo tale da includere al suo interno i suddetti rami nervosi e preservarne la sensibilità. In tutti i pazienti sui quali è stato applicato il nuovo lembo, è stato possibile verificare in tutte le fasi del follow-up postoperatorio, attraverso il test di Weber, la conservazione della sensibilità cutanea a livello dei margini del lembo nella regione vulvare; essa si è rivelata essere simile a quella della regione anteromediale della coscia controlaterale, che corrisponde ad un valore medio di capacità discriminativa in due punti di circa 9-11 mm. Il lembo ha inoltre dimostrato di essere particolarmente robusto e affidabile dal punto di vista vascolare, fino alla lunghezza di 25 cm; è inoltre più largo e più semplice da sollevare rispetto al lembo ad isola inguinale. Essendo un lembo fasciocutaneo, il nuovo lembo si presta maggiormente alla ricostruzione della regione vulvo-perineale rispetto a quelli muscolocutanei, per le sue caratteristiche di spessore e flessibilità. Se l’estensione della lesione da riparare è tale da consentire l’utilizzo di un unico lembo, è possibile ricreare l’apertura vaginale ed uretrale realizzando con cautela delle fenestrazioni nella zona centrale del lembo.

In conclusione, possiamo sostenere che questo nuovo lembo fasciocutaneo anteromediale di coscia ci ha consentito di attuare con relativa semplicità la ricostruzione della regione vulvo-perineale, con eccellenti risultati morfo-funzionali, quantomeno equiparabili a quelli ottenuti con le precedenti metodiche; esso è in grado di apportare una discreta quantità di tessuti ben vascolarizzati per la riparazione di ampie demolizioni chirurgiche, anche in situazioni particolarmente difficili come nei pazienti con pregressa radioterapia adiuvante, che provoca una forte riduzione della vascolarizzazione dei tessuti locali.

 

 

 

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